Vito Moretti
Giuseppe Tontodonati, nativo di Scafa (in “Abruzzo Citeriore” come egli sottolinea nel risvolto di copertina) e da tempo trapiantato a Bologna, dove presiede il “Centro Internazionale delle Arti”, ripropone in un solo volume, Canzoniere d'Abruzzo”, i componimenti dialettali – per lo più sonetti – già apparsi in precedenti fortunate raccolte : Storie Paesane (1968), Dommusé (1974), Le Scafe (1976), Terra Lundane (1980), Sa’ Mmalindine (1983), divenute delle vere rarità e concosciute ben oltre i consueti circuiti privati entro cui è relegata la poesia, e non soltanto dialettale. Il volume, stimolante per molteplici aspettie per le diverse e complementari “letture” che se ne possono fare, presenta (anche sotto il profilo strettamente antologico) una occasione di autentico interesse, giacchè consente di accostare, retrospettivamente, testi di un percorso letterario già maturo al suo esordio, ma che – nell’arco di quasi vent’anni – si è andato sempre più chiarendo e specificando nei suoi diversi toni, nelle complesse problematiche realistico-evocative o lirico-mnemoniche e nei suoi registri di stile e di lingua (quella “lingua” che ad alcuni sembrò extra regulam, arbitraria, da non ratificare dentro la scrittura del dialetto, e che invece si accredita per il suo turgore, per la sua essenza fonica e per il suo essere autenticamente “lingua”, cioè strumento espressivo di un modo non consueto nè scontato di intendere la poesia dialettale), sino a rivelare i tratti d’una personalità pronta a rischiare sempre le proprie risorse entro un avveduto e quanto necessario sforzo d’invenzione, e sino a consentire, aggiungerei, in sede critica, un abbozzo meno frettoloso della poetica che sorregge, anzi del modo tutto inedito di intendere o di reinterpretare la materia dialettale, sia pure nel solco di una filigranata tradizione lucianea e dellaportiana. Del resto, riconosciuto che il poeta in vernacolo non debba limitarsi a registrare o a riproporre gli aspetti del suo mondo popolare, ma debba piuttosto riviverli attraverso le proprie “misure” di individuo eligente e con i filtri personali dell’affabulazione, dell’indugio, della evocazione o anche (perchè no?) del dissenso, non può non riconoscersi alla poesia di Tontodonati il valore di una seria testimonianza, di un lucido atto di presenza entro talune geometrie incerte della contemporaneità, e il valore, ancora, di una scrittura volta a rappresentare, per mezzo di personaggi emblematici (la raccolta ne conta a decine) una condizione di vita drammatica, che in superficie si maschera di ironia o di sarcasmo, ma che sotto la scorza conserva intere le proprie nervature originarie, gli echi del transfuga che sogna, rimemora, sorride per non maledire le trame quotidiane di inesplicabili destini umani, di eventi esecrabili toccati ad altri ma ricondotti ai personali orizzonti civili e morali (la strage di via Fani, ad es., la povertà corrente della provincia, taluni presagi). E la condizione del transfuga di necessità – la condizione, cioè, di chinon abbia altra opportunità di “riappropriarsi” dei luoghi d’origine se non con la memoria – regola da presso i molti registri del Canzoniere , i suoi aspetti di indiscutibile novità – indotti dalla sprovincializzazione e dalla contiguità di esperienze culturali mature -, come anche certo cedimento, qua e là, al bozzetto, alla suggestione dell’affresco manieristicamente popolare, alla nostalgia di sentimenti carezzati negli anni della lontanaza e trasfigurati man mano in un’aura di incontaminata idealità. Pur tuttavia, la stampa del Canzoniere rappresenta, di sicuro, un evento non secondario per la cultura abruzzese e colloca Tontodonati fra le voci più solide della poesia dialettale di questi ultimi tempi (Vito Moretti)