Paolo Zauli
Poesie Inedite Di Giuseppe Tontodonati
È un libro di poesie che tiene in serbo, come un prezioso scrigno, versi in lingua italiana e in vernacolo abruzzese, testimoni silenziosi di un mondo intimo e sofferto, di un poeta sensibile e attento alle vibrazioni del cuore e dello spirito, sempre in equilibrio tra tradizione linguistica (Carducci, Pascoli, D’Annunzio) e una certa libertà ritmica ed espressiva propria del tempo d’oggi. Se Tontodonati si è compiaciuto di ritmare i suoi versi in classici sonetti, in quartine, sestine, ottave, che compongono piccoli poemetti, in dittici, trilogie e narrazioni ritmate, ha anche sperimentato i liberi versi, il canto sciolto senza scansioni obbligate, il racconto quasi verseggiato. Non è stato per il poeta abruzzese trasgredire a un suo impegno preciso, essere fedele quasi incondizionatamente a una tradizione dalla quale è difficile staccarsi, ma è stato un naturale libero raccontare poeticamente e colloquiare con se stesso senza alcun vincolo, dimostrando quanto fosse facile per lui essere attuale. Ma la gioia del sonetto lo porta a comporne ben 411, per lo più di impegno eticosociale come quelli per il traforo del Gran Sasso, per il terremoto dell’lrpinia e della VaI di Sangro, della morte di una balena sulla spiaggia di Ortona, ecc.. Certo è raro trovare oggi “una fedeltà al sonetto davvero sorprendente”.
Ma quello che mèraviglia ancor di più in Tontodonati è “la fedeltà alla parlata autentica della terra natia” e la “capacità di scrivere così come pensa direttamente in dialetto”.
Egli, in effetti, discende da un antico ceppo abruzzese e di ciò se ne fa giustamente vanto con una punta di orgoglio per queste sue “radici”. Certo che la straordinaria versatilità nel ritmare, un certo sfogo di invenzione che non sa di arbitrario, sono fonti di arricchimento per la “natia parlata”. Si scopre così che la scrittura adottata da Tontodonati “è di tipo prevalentemente fonetico”, gran pregio per il conseguimento dei risultati più che eccellenti della sua poesia, tanto da annoverarlo “tra le figure più rappresentative del secondo Novecento”.
Questo libro di “Poesie inedite” uscito ora nella Collana di Studi Abruzzesi, a cura di Vittorio Esposito per conto del Consiglio Regionale, è una eloquente testimonianza della feconda vena poetica di Giuseppe Tontodonati.
Il curatore ha sapientemente raggruppato le 160 poesie che coprono un arco di tempo che va dal 1931 al 1989, anno della morte del poeta, in due parti: nella prima quelle in italiano e nella seconda quelle in dialetto, tenendo fermo il criterio che nasce prima “il poeta in lingua” e poi quello in dialetto, tenendo presente che “sul piano espressivo lingua e dialetto si eguagliano” in quanto hanno la stessa forza concettuale. Un libro tutto da leggere e da meditare, da leggere piano e da pensare.
Nei versi sparsi di “Rimani” è modernissimo “il gioco delle pause” e il lessico ben dosato, mentre in “Commiato” emerge l’abbandono compiaciuto alla tradizione, alla quale è stato sempre fedelissimo e dalla quale non è mai riuscito a staccarsi.
Nella seconda parte la cospicua raccolta delle poesia dialettali è stata suddivisa in quindici “raggruppamenti” per agevolare una più sicura interpretazione, come in “L’Abruzzo e la sua gente”, la “Natura e il paesaggio”, la “Chiesa e la religione”, “Tra satira, gioco e ironia” e così via. Uno dei pregi del nostro poeta è soprattutto quello di non avere mitìzzato, come spesso accade in questi casi, folclore e leggende, ma ha evidenziato invece “in profondità la psicologia e la condizione della gente abruzzese”, affetti, sacrifici, privazioni, mettendo a nudo la vera realtà di come vive un popolo di pastori e pescatori troppo spesso ignorato, ricco invece di una austera dignità e nobiltà d’animo. Ne è d’esempio il sonetto “Chi Ci? (chi sei?), dalla vena sciolta e cordiale dove traspare tanta dignità. Nella “Natura e paesaggio” Tontodonati infonde il palpitare di una sua antica passione: la pittura. Impressioni, rapidi acquarelli, accenti romantici; luci ed ombre che sul fare della sera chiudono il giorno...
Nella “Chiesa e religione” è vivo il desiderio di trasparenza della Chiesa ufficiale, l’essere vicino ai poveri con ammirazione ed esaltazione per l’umiltà di “San Martino”, E per finire “tra satira, gioco e ironia i quattro sonetti dell’agosto 1986 sulla crisi del governo, dove, consapevolmente o inconsapevolmente, si fa comunque anticipatore di tangentopoli esprimendosi con un vernacolo caustico e drastico sul malgoverno e sulla cosa pubblica.
Tontodonati pensatore libero, senza remora alcuna, sa fustigare con durezza e sa tenere sotto tiro il malcostume e la corruzione ma, nel contempo, esprime per la sua terra un profondo e sincero amore contraccambiato da una stima più che reverenziale.
La sua poesia rispecchia, daltronde, il suo modo di vivere, semplice e onesto, sincero e pulito, Nella padronanza della tecnica costruttiva del sonetto ogni occasione è buona per trarne ispirazione e riflessione; ogni pretesto è valido per dare, con vivace carnosità, vita ad ogni soggetto: non per nulla è considerato uno dei principali poeti del ‘900 come ho accennato all’inizio di queste mie riflessioni.
- Tratto dalla Rivista “ Alla Ribalta” (Bologna) N° 5 - Anno 1994 -