don Giovanni Saverioni
SA'MMALINDINE
LA TENDA - Mensile Culturale - Sociale - Teramo - aprile 1984 - n. 4 - p. 6 Giuseppe Tontodonati - SA MMALINDINE - di Don Giovanni Saverioni. Descrivere un paese, una cittadina di campagna e, per di più, con sonetti regolarissimi e in vernacolo non è impresa facile. Si rischia di diventare noiosi, di cadere nell'ovvio descrittivo, di non interessare. Ma poi cosa ci può essere di tanto interessante a S. Valentino in Abruzzo Citeriore (Pescara) oltre la Chiesa madre, disegnata dal Vanvitelli? Forse niente. Ma se passa un poeta; anzi se un poeta ci è nato e quel paese lo porta nel cuore, anche quando se ne allontana per vivere in una bella città, ma un po' freddina, come Bologna, allora le pietre, le vie, gli umili abitanti del luogo natio, con nomi (o soprannomi) nati dalla fantasia e dal buon umore degli amici, rivivono e quel paese diventa interessante: come Pescarenico, Recanati e i paesi della Val Solda. Dirò di più. Per chi ama i paesi di campagna e soprattutto per chi ci è nato in un paesetto di campagna e poi magari se n'è staccato, leggendo "Sa' Mmalindine" di Giuseppe Tontodonati, è come tornare a casa, rivivere la fraternità, la bontà, il silenzio di un "piccolo mondo antico", conosciuto nella fanciullezza e forse neanche sufficientemente apprezzato. Strade, edifici, avvenimenti, tipi di persone, tornano alla memoria, come in una litania. Ma c'è soprattutto una contrada nel cuore del poeta: quella dov'è nato lui e da cui è partito con tanta nostalgia: "dapù lundane, ji menì la sete..!" (XXV). La contrada si chiama "Cannilore" il poeta le dedica ben 27 sonetti: "Cannilore!.. ricciòppele de casa". (VIII). Che avrà di straordinario questa contrada di campagna? Forse niente, per noi; per il poeta "Cannilore.., lu cendre de in monne". (VII). Ma si tratta di un mondo completamente passato? Di un mondo perduto? Il poeta lo descrive come vivo, presente, attuale. Ma forse, anche "Cannilore" è già un po' cambiata e questo ce la rende più cara. Scrive infatti in uno degli ultimi sonetti (XXIV): "T'hanne smussate fianghe e turnarille/pe fatte nu vistite ngatramate. . !/L'asf alte, gne la lépre (la lebbra), ù sfeurate/stu pajisagge rùsteche e tranquille//La ruspe, nghe li dinde, h sradecate/dallu jèmmete, 'uve e minacille/e fratte pruvelose, addd li cille facé li nide e, a magge, le cuvate". Il verso, in genere, è pulito, ricco di immagini e di termini particolarmente efficaci, non infarcito di riempitivi che spesso rendono sgradevole tanta poesia dialettale, Per finire, aggiungo appena che il libro su S. Valentino è stato preceduto da "Rapsodia - Il Guerriero di Capestrano", poesia in lingua, con versi liberi. Anche in questo caso, il guerriero ritrovato a Capestrano (è ora conservato nel museo di Chieti) è un'occasione per ricordare la terra natia, la stirpe d'origine; ma poi l'austero guerriero diventa uno stimolo per spingere lo sguardo e quasi a guidarlo su altri orizzonti, su altri avvenimenti, su altre gesta. Il verso è sempre limpido ed efficace; però, a volte, è appesantito da un'ombra di retorica e da un tentativo di ricercatezza. Ma questi piccoli difetti sono riscattati da una visione cosmica della storia che immette il lettore in una meditazione che spinge a superare il contingente e le angustie personali, rendendolo umile viandante un po' pessimista che suscita panico, ma certamente grandiosa.