Antonio Saia
Non dimenticherò mai il giorno in cui conobbi Peppino. Era una di quelle calde serate estive, nel 1967, che io, allora studente universitario, trascorrevo a S. Valentino in compagnia di amici. Non vi erano allora molte distrazioni per i giovani del paese, sì che ogni novità era accolta, se non con entusiasmo, almeno con curiosità, nella speranza di variare all'occasione la monotona quotidianità. Fu l'amico comune Carlo Di Venanzio che ci propose di trascorrere la serata insieme ad un «poeta» dialettale. Fu così che ci trovammo a cena col Poeta a «Frainibbele», dal buon Nicola (questa località rimarrà poi particolarmente cara a Peppino che la ricorderà in molti sonetti).
Ricordo che a tavola il Poeta era ansioso di comunicare a noi tutti i suoi versi e, senza tanti indugi, tra un piatto e l'altro, con l'aiuto di qualche bicchiere di buon vino, iniziò a sciorinare una serie interminabile di versi in vernacolo. La lucidità con la quale ricordava i sonetti, la veemenza con cui recitava le sue poesie, la passione che emanava dalla sua calda voce, la molteplicità degli argomenti che toccava nei suoi componimenti, la lirica che, alternandosi all'arguta ironia, rendeva particolarmente attraenti le sue parole, catturarono subito la nostra attenzione e ci affascinarono a tal punto che le ore scivolarono via rapidamente e fu subito tempo di lasciarci. Rividi Peppino dopo qualche mese quando, entusiasta per il modo con cui lo avevamo accolto, tornò da Bologna per venirci a portare le « Storie Paesane », la sua prima pubblicazione. L'occasione fu ghiotta per trascorrere un'altra serata tra amici ed ascoltare i versi recitati dal Poeta.
Penso che da allora l'amicizia cominciò a consolidarsi fra noi, fondandosi essenzialmente sulla stima reciproca, ma soprattutto sull'ammirazione che io avevo per la sua poesia. Fu da allora che i nostri incontri si fecero sempre più frequenti. Intanto la produzione letteraria di Peppino si arricchiva annualmente di nuovi sonetti sì che, in breve tempo, fece altre pubblicazioni («Le Scafe», «Dommusé», «Il Guerriero di Capestrano»). Entrato in politica, io divenni sindaco di S. Valentino, paese particolarmente caro al Poeta, e cominciai a maturare la convinzione, condivisa dagli altri'amministratori del Comune, che fosse nostro compito far conoscere la nuova voce poetica e diffondere l'opera del nostro conterraneo. Fu per questo che facemmo pubblicare un libro che raccoglieva tutti i sonetti su S. Valentino («Sammalindine»), ed incidere un disco con alcuni sonetti recitati da Peppino ed una sua canzone scritta per il nostro paese, con musica del M' Giuseppe Di Pasquale. Facemmo coincidere la presentazione del libro con una indimenticabile giornata di festa in cui il Comune di S. Valentino fu lieto di concedere al Poeta la cittadinanza onoraria. Per l'occasione lo scultore chietino Pollio ci regalò anche un busto bronzeo di Tontodonati che oggi custodiamo nella biblioteca comunale.
C'è da dire che in quei periodi la presenza del Poeta a S. Valentino arricchì spiritualmente il paese, facendo fiorire una serie di iniziative e manifestazioni culturali molto valide ed apprezzate nel panorama regionale, peraltro allora povero di iniziative di tal genere. Ciò, a mio avviso, fu il segnale di quanto fosse necessario e giusto valorizzare i nostri artisti, anche per arricchire culturalmente noi stessi. I versi di Peppino Tontodonati, che scelse di proposito il vernacolo come mezzo espressivo, sono, accanto a quelli di altri grandi poeti abruzzesi, un tramite con il quale affermare e diffondere la nostra lingua e la nostra cultura. La lingua e la cultura di una Regione che per troppo tempo è stata considerata solo come terra di pastori, cenerentola nel panorama culturale italiano.
Tale era il preciso impegno del nostro Poeta, ed è per questo che egli si ostinava nella ricerca dei luoghi, delle parole, dei costumi, anche dismessi, della nostra terra. Fu un tormentato e continuo lavoro, per migliorare il bagaglio delle sue conoscenze. Veniva ormai spesso a S. Valentino, ogni volta che tornava in Abruzzo, e voleva sempre girare per vedere luoghi nuovi, anche paesi piccoli e sperduti, per conoscere altri fatti ed altri personaggi.
A volte, nel suo girovagare, tornava in luoghi già conosciuti in gioventù, trasformati dall'uomo e spesso, come è ormai tipico nella odierna civiltà, deturpati. In questi casi egli rimaneva fortemente indignato sì da sentire la necessità di sfogare la sua rabbia scrivendo sonetti di condanna o di ribellione, pur sempre carichi di nostalgica liricità. Ciò era per i luoghi come anche per fatti notoriamente importanti, sia che avessero risonanza nazionale, sia che avvenissero in una qualche comunità, come quella del mio paese. Ricordo a tal proposito i due meravigliosi sonetti che scrisse di getto quando, l'ultima volta che venne a casa mia in occasione delle feste patronali di S. Valentino, apprese la triste notizia della morte accidentale di una ragazza delle giostre rimasta fulminata dai fili dell'alta tensione. Di questo, come di altri innumerevoli episodi della vita e dell'arte di Peppino Tontodonati, se ne potrebbero raccontare tantissimi, ma rischieremmo poi di diventare prolissi e ripetitivi.
Molto spesso, trovandoci con il caro ed inseparabile cugino Sergio Masciarelli, che gli fu ad un tempo amico disinteressato e consigliere severo e preziosissimo, parliamo di fatti vecchi e recenti e ricordiamo le stupende serate trascorse insieme e ragioniamo di quanto possa essere importante e necessario che venga ascoltata, custodita e diffusa alla conoscenza di tutti, dentro e fuori regione, questa «voce» autentica della poesia abruzzese. Dal canto mio, quale amico sincero ed estimatore del Poeta, ed anche quale amministratore di quel Comune di S. Valentino che Egli considerava insieme a Scafa quale patria di origine, avendo io avuto la fortuna di conoscere la bellezza ed il valore dell'arte di Tontodonati, sento il dovere di impegnarmi per diffonderne la conoscenza in tutte le sedi opportune. Mi auspico che uomini di cultura, educatori e politici facciano in modo che l'opera poetica di Tontodonati venga valorizzata nell'ambito del panorama culturale regionale ed anche nazionale, occupando Egli ormai un posto di prestigio che certamente ha meritato.
Un'ultima riflessione. Il giorno che conobbi Peppino fu per me un grande giorno, caldo, indimenticabile; il giorno che Peppino ci ha lasciati, per me fu un giorno freddo e terribilmente triste!
... Ma l'Abruzzo si è accorto di cosa ha perso?
S. Valentino, 10 ottobre 1989
Antonio Saia